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Ombre e luci 

Oggi il linguaggio liturgico, come si potrebbe individuare?

1°. Linguaggio avulso dal quotidiano. Gesti, parole, vesti sembrano talmente lontani dal modo comune di parlare e di agire, da creare un’atmosfera strana. Forse questo può servire a un senso dell’arcano, dell’altro, dell’oasi di spiritualità, ma rischia di non mordere sulla sensibilità corrente.

2°. Un linguaggio stilizzato, e forse ingessato. La prevalenza delle indicazioni particolareggia sui movimenti, di modo che il presidente, forse oggi meno del periodo preconciliare, è costretto a gesti che lo legano. Questo è probabilmente in vista della validità sacramentale, secondo certe correnti filosofico-teologiche, attente a non commettere svarioni per non impedire la presenza di Cristo tra i fedeli.

3°. Linguaggio simbolico necessario, perché Dio si rivela attraverso parabole e simboli, tuttavia molti simboli non sono per nulla intuibili. Troppo spesso i liturgisti devono spiegare il simbolo, talvolta legato a culture e a mentalità del passato. Di modo che il simbolo non introduce nella cosa, ma desta la domanda: “Perché, come questa azione o questa parola?”
Per dono di Dio, le non rare astruserie non impediscono la fede e il colloquio con Dio. Però dove sta l’Eucarestia, festa e ringraziamento? Beati i bambini che in chiesa piangono o scorrazzano, lodando Dio con la spontaneità.

Noi, pur di usufruire della grazia, ci sottomettiamo ai riti, sebbene non sempre li sentiamo davvero nostri.

28.09.16