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Il sollievo del perdono 

La confessione è un sacramento per la pace non per il tormento. Essa è sacramento per la fede, non tribunale per la condanna. È via alla misericordia di Dio, non abisso di tenebre.

Perciò è un bene distinguere tra accusa di peccati, o descrizione di azioni malfatte. Lo scrupolo nel voler descrivere per acquistare una pace fittizia e che ci fa convincere che solo la descrizione del peccato e delle sue circostanze è necessaria al perdono è un inganno del nostro sentire, non una richiesta di Dio.

Accusa quindi, non descrizione. Accusa sentita come riaccostamento a Dio, alla sua bontà, convinti che a Dio interessa il cuore che ritorna, non il romanzo ben descritto. Dio è una persona seria.

Con gli intimi, che ci conoscono, basta uno sguardo per capirci reciprocamente. E Dio non è nostro intimo? Quel Dio che vede di noi ciò che nemmeno noi vediamo?

Dio, tra le molte cose di noi, vede anche la nostra paura o la nostra vergogna nell’esprime alcune nostre brutture, che ci riesce difficile manifestare a un confessore. Egli, nel perdonarci tiene conto anche di esse, e non vuole torturarci, imponendo una dolorosa descrizione.

La confessione è sacramento di misericordia, non tribunale di condanna. La stessa confessione sacramentale la viviamo con sentimenti diversi se ci accostiamo a un tribunale, oppure a un abbraccio del Padre. A Gesù bastava una donna in pianto, per regalare il suo perdono, mentre i commensali farisei stavano ricordando chi e che tipo di donna era “quella”. Loro vedono le azioni colpevoli, Gesù vede il cuore afflitto (pianto) e amante.

21.03.17