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Dal pregare alle preghiere?


     Il credente in Gesù, il cristiano, è l’uomo di preghiera: è vero. Però se guardiamo più attentamente scopriamo che egli è l’uomo-preghiera. In quanto uomo è anche preghiera. Il suo vivere è anche pregare. S. Paolo ci illumina, quando dice che il “nostro corpo mortale” è già sacrificio a Dio. Anzi: “offerta gradita a Dio”. Quindi, poiché lo Spirito Santo è non solo la nostra preghiera, ma è anche il nostro essere preghiera, allora Dio ci gradisce, perché noi siamo i suoi figli, e perché deve accettare il nostro essere preghiera nello Spirito Santo.

Dalla preghiera costitutiva dell’essere cristiani, si passa alle “preghiere” o al pregare come azione specifica. Le preghiere non sempre sono il pregare. Possono essere sì un’introduzione al pregare, ma non esauriscono il pregare.

Ai bambini chiediamo che “mandino un bacio all’angelo custode”, prima di addormentarsi. Ai bambini insegniamo di dire ”ciao” a Gesù. I bambini, di loro, sanno pregare spontaneamente il modo immediato di pregare. Poi arriva la “corruzione” del loro pregare, quando li costringiamo a dire le preghiere. Spesso i bambini non capiscono ciò che sono costretti a dire. Essi si sentono prigionieri, mentre, senza preghiere, si sentivano liberi e felici nella casa del Padre.

Forse anche Gesù avrà sofferto per la costrizione a “dire le preghiere”. Di fatti quando insegna ai suoi come pregare, li libera dal ciarpame di “molte parole” per esprimere semplicemente (e vivere!) due soli atteggiamenti: godere per la bellezza del Padre che è nei cieli (ossia ovunque facilmente accessibile, non legato a luoghi, a statue, a immagini, a riti) e assaporare il suo aiuto (pane e perdono) e la gioia di trovarci uniti tra di noi.

  06.12.15