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Preghiera iniqua


    Il Vangelo di Matteo ci ricorda le parole di Gesù, che taccia di iniquità perfino la preghiera, il miracolo, la predicazione.

    Operatori di iniquità, non conosciuti, ossia non in relazione corretta con Dio. Iniquità ha lo stesso significato del termine greco usato nel testo originale. “Anomia”, contro oppure senza la legge. L’alfa privativo che indica l’opposto della legge (nomos). Così il latino “in-iquitas”, ossia contrario (in, se preposto alla parola sconvolge il significato: in-aequitas, cioè contro l’equità, la giustizia).

    Ammettiamo pure che la frase del Vangelo risenta di enfasi, ma il significato è quello: “Lontano da me voi, che commettete l’ingiustizia” (ingiustizia e peccato sono eguagliati nella lettera di Giovanni).

    Perciò pregando, proprio con la preghiera, io posso commettere un’iniquità.

    Il rischio quotidiano è quello di cadere nell’assurdo: pregare Dio, mentre la preghiera diventa iniqua.

    La parola di Gesù non ci lascia indifferenti, ci fa pensare, ci consiglia l’autocritica del nostro stesso pregare.

    Gesù è chiaro: solo chi compie la volontà di Dio, o è deciso a compierla sempre, è in condizioni di pregare correttamente, e così essere sicuro di quel “chiedete ed otterrete”.

    La volontà di Dio è accogliere apertamente e volutamente la parola di Gesù. Infatti subito dopo le frasi forti sulla preghiera-iniquità, Gesù indica il modo di costruire sulla roccia e non sulla sabbia, proprio come sono costruite molte case presso i greti dei fiumi.

    Accogliere con decisione la parola di Gesù ci aiuta nello sfuggire al pericolo di perpetrare preghiere-iniquità.

     26.06.14