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Dall’azzardo alla confidenza


    Durante la messa siamo invitati a pregare il “Padre nostro”. Nella antica formulazione del testo liturgico, si ha l’impressione che la dolcezza del Padre, pregato e invocato sia dimenticata.

    L’introduzione al Padre Nostro diceva esplicitamente: “Osiamo dire”. Quasi un azzardo, nel  dire Dio Padre. Quasi la paura che la parola “Padre” rivolta a Dio, fosse pericolosa.

    L’introduzione era poco rassicurante, e per chi recita la messa in latino resta poco rassicurante.
Però il destino del Padre nostro sembra essere seguito da una correzione, quasi per far dimenticare l’azzardo di aver parlato con un Padre. Difatti è ripresa subito la parola “Signore”, quasi per far dimenticare il Padre di prima. Difatti il dettato liturgico, subito dopo il Padre, indica al sacerdote di dire: “Liberaci, Signore”.

    Conseguenza dell’aver osato parlare con Dio Padre.

    Ma ecco la sensibilità cristiana in una nuova formula (opzionale) del nuovo messale: “Il Signore (ossia il Padre!) ha donato il suo Spirito (e qui il nome trinitario appare chiaro). Con la fiducia e la libertà di figli diciamo”. Non “osiamo dire”.

    Mi chiedo: perché il nome del Padre, alcuni lo prendono con le pinze? Quel Padre che Gesù ha portato in casa nostra, perché lo lasciamo vagare nelle piazze?

    Se poi ci ricordiamo delle parole di Gesù, che ci assicura: “Il Padre (!) conosce ciò di cui avete bisogno, prima che glielo chiediate”, allora la prospettiva dell’azzardo cade, per lasciare libera la semplice qualità di figli, figli autentici, non di seconda mano, come gli adottivi.

    Basarci sulle parole di Gesù, e non sulle parole prese a prestito dal paganesimo: il cuore si esalta di gioia.
   
    14.02.14