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Consacrazione e luce


    Gesù è luce, così dice la liturgia del 2 febbraio. Gesù, ancora chiuso sotto le osservanze stabilite da Mosè (secondo la tradizione ebraica), deve essere presentato al tempio per il riscatto, dopo la consacrazione a Dio. Però proprio nel suo stato di incosciente, illumina Simeone, che in Gesù scorge la luce destinata a illuminare il mondo.

    Due sottolineature emergono dal testo evangelico: consacrazione con riscatto e illuminazione.

    La consacrazione a Dio con il riscatto (due colombi), in qualche modo riprendeva ciò che era stato donato. Del resto l’uomo offriva e l’uomo toglieva, sulla base di una legge umana. La consacrazione, pur essendo gradita a Dio, che legge la buona volontà nei cuori, è un’invenzione umana. Dio infatti non consacra, ma santifica, prolungando nelle creature la sua stessa santità.

    Gesù bambino è offerto e ritirato. Gesù morto e risorto è santificato per sempre, e perciò è lui stesso in grado di santificare. La Lettera agli Ebrei ne parla ampiamente.

    La liturgia, espressione esterna di una fede collettiva, approvata dalla gerarchia, oggi accenna chiaramente alla luce, anche benedicendo quelle forme primitive di luce, che sono le candele. La tradizione nei secoli della Chiesa è forte.

    Nell’emisfero settentrionale, nel quale si forma la Chiesa primitiva, questa cerimonia della luce, è un’espressione, accolta dai cristiani, del desiderio di uscire finalmente dal buio invernale. Però si collega anche con l’espressione di Simeone, che vede nel bambino, che sta toccando, colui che è luce per tutti i popoli. Certamente noi crediamo a Gesù quando afferma di essere la luce del mondo.

    02.02.14