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Rito e amore

Vedo parecchi responsabili delle liturgie, che curano cerimonie, addobbi, musiche e altro per rendere sempre più estetiche le cerimonie liturgiche.

Può accadere (purtroppo talvolta accade) che alla messa in scena non corrisponda l’amore. L’attenzione alla cerimonia perfetta, che né è fatta con amore, né alimenta amore. E’ uno spettacolo triste, che pretende di essere glorioso.

Gesù avvertiva questo pericolo, non ipotetico, nei farisei del tempo, e potrebbe anche avvertirlo nei nostri cuori e nelle nostre cerimonie farisaiche: amare i riti, offendendo i cuori di noi povera gente, che desideriamo trovare consolazione nei nostri travagli, e ci incontriamo con fiori, pizzi e merletti, dei quali non sappiamo che farcene.

I cerimonieri pretendono grandi parate lussuose, nelle cattedrali, e lasciano trascurati gli anziani, che non ce la fanno ad arrivare al duomo. Esterno solenne, privo di amore. Ossia piatti puliti con marciume dentro. Date in elemosina, dice Gesù. Elemosina, ossia carità.

Cerimonie con canti perfetti, mentre la gente è impedita dal pregare, talvolta neppure dicendo un “amen”, perché è cantato soltanto dal coro. Se l’amore è partecipazione, incontriamo messe solenni, vuote d’amore.

I riti prescritti, non devono servire l’estetica (che, tuttavia, se c’è non guasta), ma i presenti, quelli che S. Agostino designava con “charitas”, amore.
L’estetica in sé è una bugia. L’estetica per suscitare amore, deve essere amore. Suscitare amore, non ammirazione, più o meno sentimentale. La chiesa non è un teatro per l’opera, ma un raduno per la carità in Gesù. 

GCM 24.10.13