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Nel peccato la felicità

Il peccato è la nostra parte di Vangelo: si legge in Silvano Fausti. La sottolineatura del peccato è sintetizzata dallo Spirito di Dio, attraverso Paolo: “Tutti abbiamo peccato, e tutti abbiamo bisogno della gloria di Dio”. Il peccato sembra essere il corrispettivo della grazia.

Il peccato, nostro e/o degli altri, non è entrato nella nostra vita per ucciderci, ma per risvegliare la speranza dell’umiltà, l’umiltà serena e gioiosa della speranza.

Il peccato non è solo la nostra parte del Vangelo, ma è pure la nostra parte nel Vangelo. Non solo come ci consideriamo, ma anche come ci viviamo.
All’adultera, dopo il perdono, Gesù indica e invita: “Non peccare più!”. Ossia: non farti del male, perché il peccato nuoce alla nostra salute. Tanto più nocivo, quanto più si moltiplica, soprattutto in quel moltiplicarsi, che sembra desensibilizzarci circa il dolore del peccare.

Il paradosso: il peccato è la nostra parte di Vangelo, e… quindi il non peccare ci isola dal Vangelo?

Si dice che il perdono di Dio (leggi anche il sacramento della riconciliazione) cancella il peccato. E’ un modo di dire che contraddice quel buon senso filosofico antico che diceva che ciò che è stato fatto non può essere annullato. Altro è il perdono, altro l’annullamento. Altro un peccato perdonato, altro un peccato cancellato.

Difatti il sacramento non annulla il peccato, ma trasmette il perdono di Dio, che trasforma il peccato in peccato perdonato. In tanto è efficace il perdono, in quanto c’è e resta il peccato. Proprio qui si annida la gioia del perdono, che continua la sua efficacia in continuità, tanto che con Davide si proclama: “Rendimi la gioia della salvezza”.

19.01.14