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La malleabilità

Qualche liturgista è tutto preso dall’abbellire altari, esibire belle vesti, intonare canti (più o meno musicali, come certe nenie), ma non sa pregare, non sa gioire per la preghiera semplice e disadorna. Mi ricorda quel marito che riempie di fiori e di gioielli la moglie, mentre lui se l’intende con le diverse amanti.

Lo ricordavano spesso i profeti: questo popolo mi onora con le labbra e il suo cuore è lontano da me. Addirittura il profeta ce l’ha con il culto: “Io detesto le tue offerte e le tue feste”.

Però questo è il triste destino dei superficiali che adoperano molta attenzione per le formalità, e quando qualche persona, ascoltando l’impeto del cuore, si dimentica delle cerimonie (come accadeva a qualche santo, come a Giuseppe di Copertino), allora il credente è condannato.

Anche sotto l’aspetto delle formalità rituali, l’uomo tenta il suicidio o l’omicidio delle risorse naturali. I bambini ci insegnano la spontaneità, ma noi, anziché indirizzare la spontaneità in creatività, spesso la soffochiamo. Siamo i miopi liturgisti dell’infanzia.

Allora: giungere allo spontaneismo? Ossia a darle tutte buone al bambino, quasi per una liturgia selvaggia? Decisamente no, anche perché lo spontaneismo non correttamente alimentato e indirizzato non conduce da nessuna parte. È opportuno vedere bene lo scopo per il quale si agisce, e allora soltanto sapere quali liturgie adibire. “Liturgie” al plurale, perché lo scopo e l’arrivo è unico, ma le vie sono molteplici, adatte a ciascuna persona.

24.02.14