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Eucarestia e famiglia

Ho dovuto, talvolta, rincuorare qualche persona, che si affliggeva per non aver osservato il “digiuno eucaristico”. Oggi i liturgisti lo hanno ridotto nel tempo, mentre, tempo addietro, io dovevo digiunare, la domenica, dalle 24 alle 12, senza neppure una goccia d’acqua.

Ha significato di salvezza tale norma, che sottolinea solo la sacralità dell’atto?

Noi tutti conosciamo una persona, che non ha osservato il digiuno per la prima (prima in senso assoluto!) comunione. Addirittura l’Eucarestia l’assunse durante una cena!

Quel comunicante corrispondeva al nome di Gesù. Egli non si fece scrupolo di far mangiare la comunione a chi stava mangiando e bevendo. Poi dopo la cena, aggiunse un calice di vino per tutti.

Non il rito, ma il significato prevalse allora, ed è giusto che prevalga ora.

Che dire poi della prima comunione differita dagli anni sei o cinque di una volta? I liturgisti non sentono il rimprovero di Gesù: “Lasciate che i bambini  vengano da me; non glielo impedite!”?

I bambini dei quali parla il Vangelo, non sapevano chi era Gesù davvero, però Gesù sapeva chi erano i bambini. Di loro disse, che i loro angeli vedono la faccia del Padre.

Il lungo digiuno confinava l’Eucarestia fra le cose sacre. Il superamento del digiuno invita a vivere l’Eucarestia nell’atmosfera familiare, sia della Chiesa, sia della Trinità. Quella familiarità (banchetto semplice tra amici) dentro la quale Gesù l’aveva iniziata.

Oggi si dice che lo spirito è quello familiare, mentre la realtà è sacrale.

27.07.14