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Comunità eucaristica

Troppe formule pubbliche o private della nostra preghiera si rivolgono ad un Dio reputato distante, inaccessibile, tignoso.

Dove sta quel Gesù che ha detto di stare con noi fino alla fine; dove sta il Padre che è sempre con noi; dove sta lo Spirito che regge la nostra vita e la nostra preghiera?

Parlare con Dio è parlare con una persona che abita nella stessa casa. L’apostolo scrive che siamo “domestici  Dei”, abitanti nella casa di Dio. Gesù viveva lui e faceva vivere i suoi come abitanti con Dio. La preghiera usa il “tu”. La semplice confidenza tra due persone non è presentarsi con il galateo in mano, né un urlare (vedi Elia) affinché Dio ci senta.

Lo stesso cantare insieme, durante la messa, non persegue lo scopo di sollecitare Dio, ma quello di infervorarci tra di noi, nell’esprimere la nostra gioia di comunità credente.

Lo stesso “Alleluia” , che è un’esplosione di gioia, non si rivolge a Dio, ma alla comunità: “ Lodate Dio (Jahveh)”. Le nostre liturgie sono sempre un ricordarci di “quando vi radunate per la santa cena”, come scrive San Paolo.

Perché abbiamo perso il calore dell’essere comunità e famiglia di Dio quando ci raduniamo? Perché abbiamo permesso che il verme dell’individualismo penetri la messa?

Uno sguardo ai presenti, postisi uno qua e uno là, durante la messa, ci dice molto sul nostro individualismo.

Ho visto, attraverso la televisione la gioia incontenibile, tra le persone quando la squadra del cuore, segna una rete.

La gente esplode, o si abbracciano l’un l’altro, tra i vicini, anche quando non si conoscono. Un gol ci unisce, almeno per un attimo. E lo Spirito, perché impediamo che ci unisca, quando l’eucarestia è presente?

25.07.14