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Rito e coscienza

Non si può attribuire ai riti più importanza di quanto essi hanno. Perfino il Concilio di Trento che si è dovuto a lungo interessare dell’Eucarestia, i riti li ha demandati ai decreti.

La dottrina autentica, richiama la rivelazione con tutta la sua autorità. La disciplina, anche quella rituale, viene dagli uomini e ha solo autorevolezza.

Alla verità si obbedisce, alla disciplina ci si sottomette. Quella tocca l’eterno, questa si svolge e muta secondo i tempi.

Tra l’una e l’altra si colloca la morale, perché una parte di essa è dettata ed esigita dalla rivelazione di Dio, e una parte di essa segue disciplina e riti.

L’una è intima alla fede, l’altra è aggiunta dalla disciplina.

Eppure, pur con diverso valore, possono aiutare la persona a indirizzarsi a Dio e nel mondo.

E’ vero che la fede salva, e che la fede senza le opere è morta. E’ vero che, dopo che Dio si è piegato verso l’uomo, l’uomo deve innalzarsi verso Dio. Però le opere che riguardano la fede sono necessarie alla salvezza e all’amore, mentre le opere, che realizzano la disciplina, non sono indispensabili alla salvezza.

Gesù ci avverte di compiere le une, e non trascurare le altre. Il criterio per osservare le opere della fede, è la Parola rivelatrice di Dio. Il criterio per assumere le opere della disciplina, è il reale ed effettivo bene dell’uomo.

Dalle opere della fede nessuno ha il potere di dispensare. Dalle opere della disciplina è costituita l’autorità per dispensare, e l’ultima parola spetta sempre alla coscienza.

Ma la coscienza è così illuminata dalla fede, da sentenziare rettamente?                                                                  

  GCM 21.08.09