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Popolo sacerdotale

Forse noi cristiani non ci ricordiamo più di essere un popolo sacerdotale. Nell’Antico Testamento leggiamo che Dio ha scelto un popolo tra gli altri popoli, per trasformarlo in un popolo sacerdotale. Un popolo quindi che si differenzia dagli altri non per i privilegi, ma per la funzione: essere il sacerdote del mondo. L’elezione non è per l’esaltazione elitaria e privilegiata, ma per la missione sacerdotale.

Quindi una stirpe dedicata all’annuncio e al sacrificio. Parola e olocausto. Ciò che in Gesù si realizza in maniera perfetta.
E, la Chiesa, corpo vivo di Gesù, è sacerdotale (è sufficiente ricordare la lettera di Pietro), ossia consacrata ad annunciare e a sacrificarsi per il bene di tutti gli uomini e di tutte le donne.

Purtroppo sia il popolo ebraico che la chiesa di Gesù, si sono rattrappiti in se stessi. Il popolo ebraico rifiutando sdegnosamente i gojim, la chiesa vantandosi di essere la vera unica religione, e proclamando che fuori della chiesa non c’è salvezza.

Gesù, il sacerdote fonte di ogni sacerdozio, venne a complemento della creazione e a salvare l’uomo. Verso la fine della usa carriera umana, egli dichiarò il proprio espandersi nel mondo, con le parabole e con la croce.

La chiesa di Gesù diventerà sempre più asfittica, se non si vive chiesa per il mondo, se i cristiani non si accorgeranno di dover uscire dai loro problemini, anche teologici, per sentire la propria missione di preghiera, di annuncio, di sacrificio a beneficio del mondo, oltre il misero e ristretto orizzonte del proselitismo.

Siamo stati eletti dal Padre per essere un popolo sacerdotale, e dimentichiamo di esistere per la salvezza di tutti, e non soltanto per quella personale.

GCM 08.03.10 - pubblicato 13.05.10 

Senso etico

Quando il presidente della Corte dei conti dichiara che magistratura e forze dell’ordine sono insufficienti a suscitare anticorpi al cancro della corruzione, richiama una verità millenaria... quando addirittura magistrati e polizia non aumentino il cancro.

Il presidente, superando codici e pandette, non si ritira dal dichiarare che è necessario recuperare il “senso etico”, che non è un fatto giuridico, ma filosofico, teologico e di fede.

Da quale fonte ricavare il “senso etico”? Non dall’apparato statale. Allora: da quale filosofia, da quale teologia, da quale fede?

Ricordiamo che il “senso etico” è un’attività della coscienza, e la coscienza include il livello intellettivo e quello emozionale, oltre al livello operativo.

Può la filosofia, divisa in molti sistemi spesso tra loro opposti, diventare filosofia unica universale per dettare quel senso etico, che usa definire “legge naturale”? Lo sforzo, ultimamente condotto anche da Hans Kung, non è approdato a nessuna parola definitiva. Esso infatti parte dalla molteplicità delle culture umane, che hanno interpretato il senso etico secondo molte angolature locali, pur essendo unica la sottostante natura umana.

Può la teologia aiutare? Noi sappiamo che non esiste la teologia, ma le teologie, debitrici ovviamente alle diverse filosofie.

Rimane la fede nella rivelazione che viene da Dio, creatore dell’intelligenza e della sensibilità dell’uomo. Rivelazione che trova la sua ultima redazione in Gesù. Non resta che penetrare Gesù, per scoprire il vero, unico “senso etico”. Purtroppo, credendo di essere aggiornati, molti rifiutano Gesù, con quelle scoperte etiche che clonano antiche, sorpassate posizioni.

GCM 18.02.10  - pubblicato 17.05.10