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Il prete non è un cittadino

Nella mia città si dà ormai per scontato che una sia la vita civica e un’altra parallela la vita religiosa. Mondi, praticamente, paralleli, che sembrano tranquillamente accettati da ambo le parti. I preti non sono cittadini, e, forse, non si ritengono tali.

Non parlo del cittadino Vescovo o del cittadino parroco dei tempi del Regno d’Italia napoleonico. Ma del cittadino Tizio, che esercita la professione del prete, come il cittadino Caio esercita la professione del medico. Due cittadini che, nella comunità, esercitano la loro professione, seguendo ciascuno una specifica deontologia.

Un tentativo di superamento del parallelismo, è stato compiuto dall’Amministrazione Comunale della città , quando ha voluto descrivere anche ai preti le linee del nuovo PAT, il progetto territoriale.

La separazione dei due filoni, civico e religioso,  è favorita da tutta la stampa e da un rimasuglio di mentalità costantiniana.

E’ però vero che il clero, le suore e i frati non si sentono completamente cittadini della città in cui abitano, e non perché vivano in aspettativa della città del cielo, ma per un motivo psicologico molto semplice.

Essi sono dati in prestito alla città. Arrivano, spessissimo, senza averlo desiderato, e partono sotto comando per andare a vivere in un’altra città, dove si troveranno provvisori.

Sono persone che non possono, psicologicamente, radicarsi, e non sono in grado di gustare la linfa della città, nella quale transitoriamente vivono.

La loro patria è il cielo, e il loro esilio è sulla terra, nella città.

GCM 31.10.09

Il sociale indebolito

E’ difficile conoscere tutti i motivi della disaffezione degli italiani alla “cosa pubblica”.

Alla base, evidentemente, sta l’affezione al privato. Il peso, sulla bilancia, dell’opposto, è un fatto elementare.

Perché sta prevalendo il privato, ossia il personale, l’individuale, l’egoistico?

Certamente l’egoistico è alimentato dall’interesse pesante ai “fatti miei”, che si oppongono alla “cosa pubblica”.

Tra i molti fattori, che favoriscono il ripiegamento sull’individuale, è la scelta del mio benessere, della coltivazione del mio orto. E il mio orto è coltivato, rivolgendo molte risorse alla sua crescita e produttività, soprattutto all’alimentazione del mio comodo. Il fermarmi esclusivamente sul mio tornaconto (tendenza della natura egoistica), mi induce una mentalità, che non si cura più degli altri.

Questa mentalità è alimentata da molteplici impulsi, sia personali che sociali. Questi impulsi presentano in primo piano il tornaconto individuale. Non secondario incremento a tale impulso è dato dalla pubblicità e dallo spettacolo, che guidano, non tanto  subdolamente, lo sfogo egoistico delle persone. Televisione in primo piano. La volgarità della televisione non è innocente. La volgarità è l’ultimo gradino della mancanza di cultura: nel vuoto di cultura si accomoda la volgarità.

Il vuoto di cultura nasce dalla distruzione di valori e giunge a distruggere altri valori.

Ricordo la lotta, più o meno massonica o marxista, contro le esigenze cristiane. Poi contro le esigenze comunitarie ed umane, per giungere alle odierna distruzioni degli ultimi valori umani e della vita.

GCM 29.03.10