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Confidare

Confidare le nostre esperienze. Questa azione può essere stimolata da molte esigenze.

Aprire il cuore, pieno di tristezza o di gioia. Rinsaldare un’amicizia o un amore. Sventagliare la coda del pavone. Comunicare le invenzioni. Partecipare a un gruppo.

Esiste anche un’intenzione molto costruttiva. Esprimere una nostra esperienza o un nostro vissuto, che alimenti la speranza di qualche persona.

Confidare per far sperare. Soprattutto confidare il superamento di una prova fisica o morale, di una malattia o di una pena, che, ringraziando Dio, noi abbiamo già superato.

Questo tipo di confidenza non può e non deve nascere dalla vanità: vedi come sono stato bravo o fortunato.

Non deve nascere neppure dal bisogno di togliere dai piedi uno scocciatore.

Ma nasce dalla com-passione. Non da quella che è un vago sentimento di bontà verso uomini e cose, ma da quella che ha condotto l’azione incarnatrice di Gesù. Patire assieme, per aumentare la speranza di chi soffre, e il ringraziamento di chi ha sofferto.

La compassione partecipativa, non è un sentimento di degnazione verso un disgraziato. E’ invece un vivere o rivivere sullo stesso piano, un’esperienza umana comune.

Da questa compassione sgorga la confidenza spontanea. Non per donare un coraggio di maniera a chi ci sta davanti e soffre, oppure un plauso formale a chi gioisce. Ma rivivere assieme, pur con diverse modalità, un’esperienza che accomuna. E’ il “piangere con chi piange” e il “gioire con chi gioisce” di S. Paolo.

GCM 05.07.11, pubblicato 18.10.11