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Castigare e guarire


Anch’io mi sono trovato davanti a un caso di pederastia di un prete. Non dovevo decidere, ma solo offrire qualche idea.

I responsabili si trovavano presi da due esigenze: richiamare il colpevole, eppure usare misericordia con il delinquente, che, però, non mi consta essersi pentito. Il richiamo non era da esercitare in foro esterno, attraverso un tribunale: almeno così stavano decidendo, credo per evitare, come dicevano, lo scandalo. Purtroppo lo scandalo era già perpetrato, secondo il Vangelo, perché un piccolo, o più piccoli?, erano già stati scandalizzati. Credo si volesse evitare la pubblicità, non  lo scandalo.

Quei responsabili erano molto perplessi: lo so, perché me lo dissero. Ma reputavano l’intervento difficile. L’intervento severo non era di facile applicazione, però dovevano intervenire. Non so bene quale decisione presero: però sono al corrente che essi agirono.

A questo punto mi chiedo due chiarificazioni: che cosa è stato fatto per aiutare il “colpevole”, e che cosa per aiutare la “vittima”?

Oggi si reclama la giustizia: ossia il castigo e il risarcimento. Quale risarcimento?

So che i preti, che non hanno saputo mantenere tranquilla la propria sessualità, sono mandati in qualche istituto, per passare un periodo di ripensamento e di pentimento. Però la loro devianza sessuale è considerata anche sotto l’aspetto di difficoltà psichica che richiede un intervento psicoterapico?

E i ragazzi o bambini coinvolti nella pederastia o nella pedofilia, come sono stati psichicamente aiutati? Non parlo soltanto di giovani o bambini riluttanti (quindi violentati), ma anche di giovani e di bambini consenzienti... oggi che i tredicenni si dilettano a stuprare le compagne di classe?

GCM 30.03.10 - Pubblicata il 23.05.10