La fine cena. E’ pericolosa.
C’era
una volta un reuccio, molto pretensioso e alquanto crudele. Tra le
licenze, che si era preso, c’era anche quella di aver sposato la
cognata, soffiandola al fratello. Un mezzo esaltato, che era sicuro di
parlare in nome di Dio, rimproverava al reuccio e alla sua
paraconsorte, l’illiceità dell’adulterio.
L’esser rimproverata
non andava giù alla sovrana, che covava un rancore bestia contro
quell’eremita mezzo esaltato. Riuscì anche a farlo ammanettare e
ficcare in gattabuia.
E arrivò il giorno acconcio. Il reuccio
organizzò un grande pranzo con invitati e ballerine. La più provocante
delle ballerine fu proprio la figlia della regina: Essa volteggiò in
maniera così avvincente, che fece piroettare perfino la testa del
reuccio, il quale per premiarla le giurò di concederle ciò che
desiderasse. La ballerina, suggerita dalla madre, chiese di avere su un
vassoio (pronto per le portate succulente) la testa di quell’eremita,
mezzo esaltato, che pretendeva di insegnare la morale perfino a reucci
e consorti.
Così come dessert, come ultima portata del cenone, arrivò a tavola il capo mozzato dell’eremita.
Era la fine della cena.
E’
la fine della cena di ogni festa tra gli amici. Si taglia la testa, si
disonora, si butta fango sulle persone assenti. Insomma la testa (e il
lavoro, e la dignità) delle persone è l’ultimo piatto (ritualmente su
un vassoio) della serata.
Chi non è stato ferito o chi non ha ferito alla fine di un banchetto, alzi la mano.
Forse qualcuno è più corretto, soltanto perché rimanda la carneficina al distensivo dopocena.
GCM 03.02.06