Competizione e gioia Tra di noi la gioia diminuisce in proporzione di come aumenta la competizione. E’ la maledizione perpetrata da Caino, che noi facilmente assimiliamo e diamo in eredità ai nostri successori.
Questa antitesi tra gioia e competizione si esprime in molte variazioni.
Il calcio di questi giorni ci dà un ignobile esempio. I campionati sono organizzati non per giocare (gioia), ma per vincere (lotta). E così si arriva all’eccesso di puntare a uomo e non al pallone, di ferire l’avversario, di cambiare il gioco in un massacro. Non parliamo poi della “nobile arte” (vergogna di chi ha inventato questa frase) del pugilato.
Però si è nascosta la bruttezza della competizione contro la gioia, sotto la maschera del professionismo.
La competizione è l’anima del commercio, della produzione, della pubblicità.
Un’anima belluina, che produce morti, furti, rapine. Eppure il fariseismo delle istituzioni pubbliche e private, condanna la rapina ed esalta la competizione, radice della rapina.
La competizione anima i rivali nell’amore, organizzando perfino tornei (o assassinii) per conquistare il “cuore” della donna, un cuore così feroce che permette la lotta e si bea di quella.
La competizione si allea, nelle piccole realtà delle famiglie, delle parrocchie, delle fabbriche e dei conventi, creando gli oscuri meandri dell’invidia. Questa può esser confinata nell’animo inquieto dell’individuo, oppure espandersi in una continua subdola lotta contro il dotato che opera e che cresce.
E così svanisce dal nostro occhio il sorriso. Eppure lui aveva avvertito: “Beati i miti, perché loro sì, erediteranno la terra!”.
GCM 20.06.06
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