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Precari

Siamo intrisi di precarietà e immersi nella precarietà. La fissità e la solidità ci sfuggono.

Sotto i nostri piedi bolle il magma, che talvolta esplode dai vulcani o nei terremoti. Noi vivivamo camminando sopra una crostina superficiale raffreddata.

Sopra la nostra testa i cieli presentano i buchi neri, prodotti nei secoli tramontati, e fanno costatare l’inconsistenza mobile dell’universo: quello che ci illudevamo fosse la stabilità, il firmamento appunto, è un muoversi lento verso il disfacimento.

Il nostro corpo è precario, già seminato di morte fin dal concepimento. La storia dei popoli passati documenta la loro fine, e quella dei presenti si orna di guerre e di fame distruttive. L’atmosfera è precaria, le stagioni sono improbabili.

Perché tutta questa precarietà?

Il Padre ci ha creati per la felicità. I salmi cantano la felicità dei cieli e della terra. Il Padre ci ha creati per regalarci la sua stessa felicità. Ma non ci ha creati “Dio”, eterni.  Eterni sono lui, il Figlio e lo Spirito Santo. Creandoci non “lui”, ma fuori di lui, ha creato un mondo e gli uomini limitati. Non ci ha fissati nella limitatezza, imperituri sì, ma profondamente incompleti e perciò infelici.

Egli ci ha creati in movimento verso di lui. Inseriti nei limiti della precarietà, perché solo con la morte ci avrebbe fatti risorgere, e quindi resi capaci di eternità.

La precarietà non solo è un  limite del nostro essere creature, ma è anche la certezza del nostro destino di risurrezione. Alla stabilità noi tendiamo: fortunatamente non è stabilità sulla terra, ma stabilità eterna, in Dio.

GCM 27.04.11, pubblicato 23.07.11