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Vecchio e nuovo

Il rapporto tra il vecchio e il nuovo può configurarsi sotto tre visuali: conservare il vecchio tale e quale, anche al di fuori dei musei e dei siti archeologici; distruggere il vecchio e imporre il nuovo; partire dal vecchio per inserirvi armoniosamente il nuovo.

Conservazione, distruzione, armonizzazione.

Nella liturgia spesso prevale il primo modo. Anzi si nota una fatale tendenza a rifiutare il nuovo, o, addirittura, a ritornare del tutto al vecchio. Non si sa tradurre il tradizionale in modalità nuove, obbligando gli operatori liturgici a imparare forzosamente le modalità vecchie, che spesso restano senza significatività per le persone di oggi. I riti antichi sono belli, soprattutto erano belli, quando venivano inventati per rispondere alle esigenze emotive e teologiche, correnti nel tempo in cui venivano introdotti quei riti stessi.

Il Concilio più recente ha svestito molti riti non significanti. Eppure certi riti, ancor oggi, impediscono la spontaneità dell’espressione di fede in Gesù.

Nei conventi, a quanto mi è dato di costatare, l’ultimo venuto distrugge l’esistente senza prima informarsi del significato veicolato dall’esistente. Io spesso ho assistito a distruzione di opere artistiche, a causa di responsabili (irresponsabili!) preposti alla fabbrica. Persone prive di senso artistico e molto dotate di distruttività.

Fortunatamente vivono ancora persone, che uniscono alla creatività una cultura e una sensibilità artistica. Sono poche, ma esistono. Però nelle comunità sono i meno ascoltati e stimati, perché, essendo i più dotati, non sono raggiunti dallintelligenza del gruppo, e perciò sono invidiati e combattuti. Queste persone potrebbero costruire cose belle su radici antiche, ma...

GCM 18.11.10, pubblicato 11.01.11