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Un lato della povertà

Uno dei modi di vivere la povertà, per le nostre comunità, talvolta può essere espresso anche nel non possedere il nostro tempo.

Comunità conventuali, con chiesa aperta alla gente, devono avere anche la coscienza di essere a disposizione. Gli orari della comunità e dell’apertura della chiesa, non possono misurarsi sul comodo dei frati, ma devono tener conto anche delle esigenze della gente.

Ad alcuni questa disponibilità può sembrare un prostituirsi alla gente, un privarsi della necessaria privatezza e dignità per sottostare alle esigenze di qualsiasi persona. Evidentemente la disponibilità agli altri non prescinde dalla prudenza e dalla oculatezza. Però quando una comunità si chiude a riccio, senza sensibilità per le esigenze degli altri, badando soltanto al “proprio” bene, o al  “proprio” comodo, non è in linea e in armonia con quell’essere “sine proprio” della regola di S. Francesco.

Le nostre belle chiese sono state costruite con il denaro della gente, quindi appartengono a essa. I frati sono “officianti” per il corpo di Cristo, per servire la gente, che è all’inizio della fondazione della chiesa o del tempio.

I frati vivono di “carità”, per essere disponibili alla carità, al dono. Anche in questo modo, e non soltanto con la cosiddetta itineranza, si sentono stranieri e pellegrini  senza orari propri, senza sicurezza del proprio tempo. Ciò, per una chiesa conventuale aperta al pubblico, richiede presenza e accoglienza costante, e soprattutto il dono della cordialità.

Un tempo vedevo i frati che esprimevano “l’amore alla Chiesa”, con l’amare e servire la propria chiesa. Oggi è più facile trovare persone, con chiesa offerta al pubblico, che pensano a sottoporre anche il pubblico ai disegni (non alle naturali esigenze) del proprio vivere tranquilli.                                                 

GCM 02.08.11, pubblicato 15.11.11