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L’allegrezza nel parto 5

Gesù l’aveva appreso da sua madre: “La donna quando partorisce soffre, ma poi gioisce perché al mondo è arrivata una nuova creatura”. Per Gesù la nascita termina in gioia.

Maria sperimenta una nuova allegrezza. S. Francesco intuisce l’allegrezza del presepio. La canta, se ne intenerisce, e lascia a noi, suoi epigoni, l’impegno caro dell’allegrezza del Natale.

E’ un’allegrezza, che non si esaurisce con le felicitazioni rivolte a Maria, ma penetra nel godere lo stesso godimento della madre.

Quel parto, dal quale dipende ogni allegria del mondo, che si ritrova salvato. Quel parto che fa esplodere il canto felice degli angeli, la sollecitudine delle più umili creature, i pastori, perfino la ricerca dei saggi, che riescono a non seguire le indicazioni dei potenti.

Nacque Gesù e fu adagiato nel poco tepore del fieno, nella massima delicatezza della paglia. Però il tutto è fasciato dall’amore: lo avvolse in un panno, per evitargli il freddo. Essere avvolto da un panno è il simbolo più immediato di essere avvolto dall’amore. Il gesto non è quello di deporre, ma di adagiare (anéclinen). Ai pastori verrà detto che è deposto (chéimenon); Maria lo adagia.

Gesti di tenerezza, che sono eseguiti dove vige la serenità, e questa sgorga da un cuore felice.

Se agli angeli esce di bocca il canto di gloria e di pace, se i pastori accorrono, Maria gioisce. Angeli e pastori non hanno partorito. Maria, lei sola, è la felice partoriente, che percepisce la profonda soddisfazione di “aver fatto” il Figlio. Il posto negato all’albrego, Maria lo sostituisce con il posto allargato nel proprio cuore.

GCM 21.08.11, pubblicato 03.12.11