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L’allegrezza all’Ascensione 8b

Leggendo i Vangeli ci imbattiamo in molte situazioni, che sono pregne delle gioie di Maria. Il ritrovamento di Gesù dodicenne al tempio, quando dopo la riprensione rivolta a Gesù, il Vangelo nota che i tre ritornarono a casa e che Gesù era sottomesso ai genitori. Un figlio sottomesso: orgoglio di una madre.

E poi a Cana, quando il “figlio sottomesso” si accorda con la madre, e rompe il proprio riserbo (“non è giunta la mia ora”) per accondiscendere alle indicazioni della Madonna.

Queste e altre gioie si riassumono nella giornata dell’Ascensione. Questo figlio, che, salendo al cielo, si riconosce come Figlio di Dio, questo figlio mostra a Maria e a tutti, la temperie della sua esistenza intima: uomo che si eleva. La Trinità che lo accoglie, il timbro della compiacenza del Padre, impresso ed espresso davanti a tutti. Paolo accenna ai cinquecento fratelli che hanno veduto Gesù Risorto.

La Risurrezione sembra avvenire alla chetichella, l’Ascensione davanti a tutti i convenuti ( sinelthontes), a tutti quelli che si erano radunati.

L’allegrezza di Maria, nel mirare il figlio rapito al cielo, deriva dall’orgoglio di Madre e dall’umiltà della credente.

L’Ascensione è la fine della grande avventura terrena del Figlio, ma non è una perdita. Essa è un guadagno per Gesù e per chi lo ama. Tanto più che i due uomini vestiti di bianco, assicurano che come è assunto in cielo, così ritornarà.

Maria, già adusa alle promesse avverate, pronunciate da un angelo, sa come accogliere anche questa promessa: ritornerà. Gioia per quel figlio, che entrato in cielo, non riesce a staccarsi dalla terra.

GCM 22.08.11, pubblicato10.12.11