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Il nuovo arrivato

Nella mia non breve esperienza conventuale (circa 70 anni) ho avuto la grazia di osservare e di riflettere molto sui vantaggi e sui limiti del vivere dei frati.

Anche in questi giorni mi è dato di vedere il comportamento dei frati, quando sono fatti entrare in una comunità, che non conoscevano, se non per sentito dire, principalmente da chi viveva “in un certo modo” nella comunità.
Ognuno ha un “certo modo” di vivere nella propria comunità: con gioia, con sopportazione, non potendo uscire per non perdere il pane, come lancio per le proprie attività, o per la propria maturazione, e altro ancora.

Il frate “nuovo” assume molti atteggiamenti. Da questi si può risalire alla sua personalità: matura, infantile, integrata, frenata ecc.

Una prima chiara posizione, che emerge immediatamente: chi si adatta alla comunità, e chi pretende di adattare la comunità a se stesso. Poi c’è il frate, che s’accontenta con tranquillità di tutto, e quello che, appena presa la misura della comunità s’ingegna di farla progredire con il proprio apporto, e anche quello che dà per scontato che la nuova comunità, in quanto proprio comunità, lo aiutrerà a crescere.

Spesso ho costatato che l’ultimo venuto intende (pretende?) trasformare gli altri, secondo il proprio criterio, senza neppure osservare quali valori la comunità già esprime. Siccome non può piegare la comunità a se stesso, resta straniero (e una spina) nel gruppo nel quale è inserito: scontento, pieno di rancore verso chi si trova bene nella comunità, desideroso e attivo nel distruggere gli altri e le tradizioni. E’ una persona che ancora è debole come intelligenza (e si crede sapiente) e scompensata come affettività (e non se ne accorge). Ma Dio può... tutto.

GCM 26.11.10, pubblicato 10.02.11