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Convivenza e carità

Il vivere assieme tra sacerdoti, spesso induce a dimenticare la cosa essenziale: chi sta accanto svolge il compito di fare Eucarestia.

S. Francesco ricorreva al sacerdote anche quando questi lo perseguitava.

La convivenza spesso fa dimenticare il dono di essere con Gesù e di Gesù. Come accadeva agli apostoli, che litigavano fra loro per sapere chi era il migliore.

Anche qualche movimento ecclesiale, come i neocatecumenali, esalta e pratica la convivenza. Per fortuna del movimento, le convivenze durano poco, altrimenti non sarebbero esenti dalle frizioni, che si creano nelle convivenze prolungate.

S. Francesco non per nulla voleva che i minori fossero fratelli (frati) e che le comunità si trasformassero in famiglie, nelle quali il “custode” o “guardiano” doveva esercitare funzioni materne.

Quanto più la convivenza è labile, tanto più favorisce le frizioni, i malintesi, i disagi dell’adattamento, e le lotte nascoste, che nascono da mancanza di stima reciproca.

Se le convivenze tra sacerdoti o tra religiosi partissero dalla base eucaristica non formalistica, allora l’Eucarestia renderebbe tutti fratelli.

L’Eucarestia ha il potere di creare fratellanza e fraternità. E come mai coloro che si nutrono quotidianamente di Eucarestia stentano a trarre da esse un genuino amore fraterno? Che cosa inquina una convivenza di sacerdoti?

La legge e le leggi, che, per natura loro non tengono conto della carità, mentra la carità tiene conto anche delle leggi. Così fu in Gesù. Egli non era sempre in armonia con la legge. Ma applicò la legge ai dieci lebbrosi, per completare la sua grazia.

GCM 14.01.11. pubblicato 07.03.11