La morte nel Risorto

Gesù assume e riassume la nostra sofferenza. Noi, soffrendo da figli di Dio, assumiamo la sofferenza di Gesù. Ogni tipo di nostra sofferenza è sua sofferenza in noi, anche la sofferenza provocata da noi. E’ sofferenza di Gesù, anche quella che ci provochiamo con il nostro peccare.

Gesù assunse la sofferenza dell’adultera, anzi difese la sua sofferenza, quella provocata dal suo peccare. Gesù infatti si schierò dalla parte della donna, rintuzzando abilmente la furia ipocrita dei farisei, che volevano sommare sofferenza a sofferenza. Gesù com-patì la donna, fino a patire con la donna.

Non c’è tipo di sofferenza che non possa essere impersonata in Gesù, perfino la sofferenza del peccato, sia come pentimento sia come disagio sociale e psichico.

Gesù soffrì nell’alzare su di sé il peccato del mondo. Lo vinse assumendolo, non combattendolo o sfuggendolo. Lui è la salvezza dal peccato, divenendo peccato. Soffrì non solo per il peccato, ma il peccato stesso. Non lo commise, eppure il Padre lo fece peccato, per avvicinarlo a noi in modo così stretto da trascinarci nella sua risurrezione.

Ogni giorno moriamo, ogni giorno accumuliamo una crescita del nostro corpo mortale. I giorni che passano appesantiscono quel corpo di morte, che completa il suo morire, proprio vivendo. Eppure non moriamo, perché la completezza mortale del corpo, si trasforma in completezza di vita nella risurrezione. Così quei giorni che accumulano la mortalità umana, accumulano anche la preparazione quotidiana alla risurrezione, e rafforzano il diritto alla risurrezione. Diritto, che non risponde a nostre pretese, ma al dono di Dio, che, come a Gesù, anche a noi regala il diritto a risorgere.

GCM 17.04.11, pubblicato 29.09.11