La vittima innocente di un distruttivo frustrato, che cosa poteva o doveva fare?
Essa si trovava davanti a una catena di distruttività. Continuare la catena, o interromperla? La vittima era costretta a convivere con il persecutore.
La prima reazione di difesa fu quella di rispondere con la stessa modalità del carnefice: aggredire l’aggressore per tenerlo a distanza. Ma la distruttività è più costante della bontà. Ne sa qualche cosa lo stesso Gesù. Anch’egli reagì davanti alle molte persecuzioni di sacerdoti e scribi. Ma la perinacia dei nemici, pieni di livore, durò a luingo, fino alla distruzione di Gesù.
Certo che la reazione violenta, in una vittima remissiva e costruttiva, non regge, proprio perché questa persona esce dal proprio stile, si sente in disrmonia con se stessa, ed è aliena da lei la predisposizione a diventare persecutrice di altri.
Non resta che interrompere la filiera di aggressione distruttiva.
Come?
Piegando la testa, accumulando le frustrazioni di essere perseguitata, a causa della dislocazione su di lei dell’acredine del persecutore? Insomma, collaborando (forse con l’idea di offrirsi a Dio in sacrificio) con il male che le venibva inflitto.ùNo: prima di tutto rimandare al persecutore la responsabilità della persecuzione, causata dalla ostilità dislocata.
Poi: continuando serenamente ogni propria attività, lasciando che il persecutore si logori dentro di sé, e assicurandosi che il persecutore è tomentato per conto suo.
Sublimando la sofferenza e sentendosi orgoglioso per la forza esercitata nel non reagire.
Apice: guardando a Gesù e assimilando da lui la forza per... perdonare.
GCM 16.06.10, pubblicato 23.01.11