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Morte e gloria

Il Vangelo di Giovanni così presenta la futura morte di Pietro: “Da giovane ti vestivi da solo e ti recavi dove decidevi tu; da vecchio ti lascerai vestire e altri ti condurranno. Così Gesù parlava per indicare con quale morte avrebbe glorificato Dio”.

Questa frase è un’eco di ciò che Gesù diceva di se stesso, quando nella sua morte vedeva la propria gloria e quella del Padre.

Dunque per il Vangelo c’è un rapporto tra la morte e la gloria.

Soltanto la morte del martirio, oppure la morte in se stessa?

La morte, violenta per mano d’altri, oppure naturale, è il termine dell’esistenza terrestre, quel termine previsto da Dio fin dall’eterno. La morte, accettata dalle mani di Dio, è l’ultimo atto di obbedienza e di amore alla volontà di Dio. Perciò è un umile riconoscimento del disegno di Dio su di noi. E’ un compiere la volontà di Dio.

Compiere la volontà di Dio, morendo, è il completamento della vita. La gloria di Dio è l’uomo vivente, in tutte le sue dimensioni, inclusa la dimensione del termine nel tempo.

Fare la volontà di Dio, è glorificare Dio.

Per chi crede in Gesù, la morte non realizza soltanto la speranza. Quella speranza che si articola nella nostra certezza di essere accolti dall’abbraccio del Padre. Speranza che aiuta ad accettare la morte (alcuni santi, come Paolo, la desideravano) come necessaria soglia verso l’eterno.

Però, oltre il nutrimento della speranza, per chi crede in Gesù, la morte è gloria: gloria di Dio, e glorificazione nostra.

Gesù, presso alla morte che pur temeva, vede prossima la sua gloria. Gloria per sé, gloria per il Padre. Gesù è la via: la sua esperienza - in ogni dimensione - è esperienza nostra. Siamo trascinati da lui nella sua morte e nella sua gloria.

GCM 22.05.10 - pubbl. 30.07.10