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L’altro soffre

Talvolta, o spesso, il nostro comportamento, per quanto semplice e ovvio, fa indispettire un’altra persona, e la pone in stato di sofferenza. L’indispettirsi è soffrire comunque, a torto o a ragione.

La sofferenza si trasforma, normalmente, in reazione contro di noi. Troppo spesso siamo lontani le mille miglia dal renderci conto che quel comportamento possa far scatenare ansia e reazione in qualcuno.

Perfino il sorriso, il canto, un  saluto gioioso, possono essere interpretati da altri come stimoli offensivi. Perché? Il perché sta nella dinamica più nascosta, nel mondo delle frustrazioni di un’altra persona. Frustrazioni che possono generare invidia, tristezza, abbattimento e molto altro.

A noi, comunque, arriva la reazione violenta dell’altro. Reazione che noi chiaramente reputiamo non meritata.

Eppure una cosa è certa: l’altro ha sofferto.

Ed è qui che il nostro senso umano si scuote.

Reagire contro l’offesa? Stimare stupido o pazzo l’altro? Far atto di stoicismo? Accettare l’offesa come umiliazione che arricchisce la costellazione delle nostre virtù? Ipotizzare nell’altro la sofferenza e sentirci umani con lui e per lui?

Non è facile scorgere nell’altro che ci offende, una  persona frustrata e sofferente, Gesù ci avverte: non ricambiare con il male, il male ricevuto; pregare per i nemici; cedere il mantello a chi ci ruba il vestito...

L’altro è un uomo come noi, che se soffriamo, reagiamo spesso in modo sconsiderato.

GCM 20.08.10, pubblicato il 23.12.10