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Dio, mia giustizia.

Non è colui che fa giustizia, o che trasmette la giustizia. Ma è la mia giustizia.

Egli perciò mi rende partecipe della sua giustizia, che diventa mia.

Il dono della giustizia è partecipazione della stessa vita di Dio, l’unico giusto.

La mia grazia è partecipare alla grazia di Dio che è lo Spirito Santo. Quindi la mia eventuale bontà non nasce da me, ma da Lui, che con la sua bontà mi fa essere buono.

La bontà umana, se è bontà, non può essere atea, neppure negli atei. I cristiani sono illuminati da Gesù, che insegna a vedere noi stessi con lo sguardo e la prospettiva di Dio.

Nulla di quanto è bello e buono nella creatura si sottrae a Lui, che è tanto bello da essere la stessa bellezza, e tanto buono da essere la stessa bontà.

Perciò arte e filantropia sono religiose, in radice. Perciò qualunque bontà e bellezza che scorgo e gusto è un atto di adorazione, per quanto implicita.

Siamo immersi nel divino, pur senza esser Dio. Immersi tanto da non poterci esimere. E il tentativo di coloro, che scindono il buono o il bello da Dio, produce tristezza e orfanezza, solitudine e vuoto.

Dio mia giustizia, mia bellezza, mia bontà. Dio mio dono perenne, come è dono in se stesso, nel connubio trinitario.

Perciò anche Dio mio sollievo nelle angosce. Quella di essere rifiutato dagli uomini, perché Dio non è la loro bontà, essendo essi debitori della cattiveria, alla quale si sono votati. Quella di essere declinante nell’esistenza, che è bontà di Dio, comunicata nel mio vivere.

Dio mio vivere. Io non vivo più in me, perché in me vive Cristo, via verità e vita: come mi fa esclamare S. Paolo.

GCM 23.06.10, pubblicato 24.10.10