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Compiere la corsa

Gesù completò il suo lavoro, fino alla croce. La costanza lo spinse a esaurire tutta la missione di profeta. Nel Gethsemani ebbe una titubanza, e chiese al Padre di essere liberato dall’esaurire il suo destino, chiedendo l’allontanamento del calice. Ma poi proseguì fino al termine.

La parabola, ricordata in Luca, dei servi che devono completare il lavoro quotidiano, aggiungendo al lavoro nei campi anche lo sbrigare le faccende domestiche, è una sollecitazione a non desistere, se non a lavoro finito.

I servi dicono: “Finalmente siamo operai, che smettono. Abbiamo ultimato il nostro dovere”.

Non abbandonare il lavoro a metà. Soltanto a lavoro completato si può godere la pace.

“Siamo servi senza lavoro: il nostro compito è stato eseguito”.

Il lavoro eseguito. Alla fine della giornata, e alla fine della vita, trovare le braccia del Padre aperte, per il nostro riposo.

La costanza e il premio. La costanza non basandoci sulle nostre forze, ma sulla certezza che “chi ci ha indicato la strada, ci darà anche il vigore necessario per percorrerla”, come suggerisce Paolo.

A noi il compito di voler percorrere la via, che è Cristo. Il nostro volere, se è sincero, non è abbandonato dallo Spirito Santo, anzi è da Lui corroborato, affinché la “via” ci conduca definitivamente al Padre.

Né più né meno di quanto ci è stato affidato, deve essere compiuto da noi. Misurare la nostra opera sulle misure di Gesù. E poi... guardare con occhio sereno la fine, quando il riposo ci coglierà in un’atmosfera di amore.

GCM 03.10.10, pubblicato 31.12.10