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Agire ed essere

Gli psicologi si prendono l’obbligo di aiutare il prossimo nella psiche, come il medico aiuta nel soma.

Evidentemente sono due aiuti incerti. Incerti perché né lo psicologo né il medico sono sani completamente. Lo psicologo, perché non ha mai terminato di conoscere e di aggiustare se stesso. Il medico... perché anche lui, alla fine, è mortale.

Questa realtà, se ben digerita, cioè se né psicologo né medico si stimano onnipotenti, pone i due a esercitare il loro mestiere con circospezione: ciò che ogni professionista, prete compreso, sta facendo.

Però ogni professione, pur seguendo alcune norme tecniche, è vissuta in prospettiva diversa, secondo la scelta esistenziale del professionista.

Per quanto attiene allo psicologo, la sua prospettiva gli fa scegliere quel versante della professione che è più consono al  proprio temperamento.

La psicologia tende a due scopi, nel trattare con le persone: che cosa queste devono fare, e chi queste devono essere. Fare ed essere, due scopi chiari. Ciascuno psicologo propende verso uno dei due versanti, pur senza omettere l’altro.

Gli interventisti tendono a curare l’agire, attraverso un’infinità di metodi e di interventi. Guardano, soprattutto, il comportamento delle persone.

Gli accompagnatori tendono ad aiutare le persone a scoprire, da sé, chi esse sono. Non dirigono, neppure in base alla propria esperienza, ma accompagnano per esser l’ambiente, nel quale la persona svela se stessa a se stessa.

Quando poi lo psicologo è lui convinto di essere figlio di Dio e che ogni persona è figlia di Dio, allora accompagna la persona,
attendendo (quanto?) che essa scopra di essere figlia di Dio.

GCM 02.08.10. pubblicato 08.10.10