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Tramonto dell’entusiasmo

L’abbandono, con cui dimentichiamo Gesù, nostra salvezza, può esser causato da debolezza o da stanchezza.

Il debole, malato, vecchio, depresso, non gode delle forze, che lo fanno vivere e operare. Egli abbandona perché non ce la fa. Si forma quella situazione, nella quale Dio sostiene il debole e lo consola con la propria misteriosa presenza.

Altra versione dell’abbandonare è prodotta dalla stanchezza. Il robusto si stanca, perché il gusto è offuscato dalla ripetitività, e perché le motivazioni, che hanno favorito l’inizio, si sono sbiadite, affievolite.

E’ da sottolineare che parliamo di abbandono, non di rifiuto.

Questo abbandono è la tentazione che mina soprattutto i neofiti, che, avendo scoperto la bellezza dello stare con Gesù, si buttano nell’avventura cristiana, con tutte le loro forze.

Arriva però il momento, naturale e logico, nel quale l’entusiasmo si esaurisce. L’entusiasmo non  si sprigiona in continuazione: è una manifestazione particolare.

A entusiasmo estinto, si prospettano due vie: l’abbandono di ciò che per l’emozione non ha più sapore; il passare dal fuoco dell’entusiasmo, all’acre sapore della costanza, che riserva nuove gioie sotto una diversa prospettiva, più matura.

Molti abbandonano. Non hanno mai gustato il consistente sapore dell’impegno: la bellezza semplice e splendida della maturazione e della maturità.

La nostra società ha educato all’ebbrezza del nuovo e non alla gioia della bellezza. E’ sintomo ciò che accade per la musica.

Purtroppo questa deleteria educazione si è trasferita anche nella fede.

GCM 11.05.08