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Storditi o felici

E’ quotidiano l’imbatterci in persone, che confondono lo stordimento con la felicità. I giovani nella discoteca, gli adulti nel postribolo, gli anziani al bar.

Lo stordimento è il camuffamento che contrabbanda il senso della felicità. Però chi vive soltanto al livello di sensazioni, entra nell’apice del proprio godimento, quando raggiunge lo stordimento.

Nello stordimento prevalgono i sensi, quando giungono al limite della propria eccitazione. Nella felicità tutta la persona entra in un’atmosfera di completa beatitudine, dove mente, sentimento, corpo si armonizzano nel gustare l’oggetto che attrae ed appaga.

Lo stordimento è di facile acquisizione: molte volte sono sufficienti tre bicchieri di bevande alcoliche e uno spinello ben preparato. La felicità si acquista dopo un lento lavorio di pace e di contemplazione, di presenza ammirata e goduta dell’oggetto, o, meglio, della persona, con cui ci si pone in sereno contatto.

La felicità è figlia dell’estasi. Lo stordimento è l’effetto di un pompaggio dei sensi, raggiunto con qualunque mezzo, sublime o volgare.

A chi crede in Gesù, la felicità è dono dello Spirito, nella contemplazione e nell’abbandono a Dio. Dono dello Spirito, non gasamento dei sensi. I quali possono essere attivati anche durante un pellegrinaggio o una predica.

La felicità, prodotta dallo Spirito, è un piccolo anticipo della visione ultima.

La visione ultima è vedere il “volto del Padre”: “Mostraci il Padre e ci basta!”.

E il Cristo ci invita a guardare lui stesso, per vedere il Padre. La felicità è il volto di Gesù, comunque si manifesti.

GCM 03.05.06