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Dono

Rinuncia o dono? Tristezza o gioia?

Spesso ci si imbatte a delle scelte che si impongono: accudire a un ammalato, abbandonare un posto ambito, recare aiuto in una situazione urgente...

Come reagiamo?

La stessa azione, per esempio il semplice dovere della massaia di preparare la cena, può essere vista e vissuta sotto due aspetti: “mi tocca fare, uffa!”, “offro un sollievo ad altri”. Costrizione o dono?

Il risultato: tristezza del carcerato, o gioia del generoso. Il risultato non deriva dall’azione, ma dalla disposizione psichica e spirituale.

La costrizione produce tristezza. Il ripetersi delle costrizioni e delle tristezze conseguenti, genera aridità. Quell’aridità che svuota la vita di ogni interesse e fa immergere tutta l’esistenza in un non-senso.

Questo aveva intuito Giovanni Evangelista, quando parlava della morte di Gesù: “La mia vita non mi è tolta da altri, poiché la offro io!”.

Giovanni dice che perfino la morte può essere donata. Quindi perfino la morte donata può generare gioia. Gesù l’aveva detto: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”:

Qui sta anche la differenza tra la sottomissione e l’obbedienza. La sottomissione è forzata, l’obbedienza è convinta e perciò ilare.

L’arte difficile di trasformare le nostre azioni dovute in doni, la si può apprendere. Richiede sforzo e molta preghiera. E libera il cuore da troppe inutili tristezze.

Essa è un’arte che si impara soltanto se si desidera apprendere, esercitandola con le persone, con cui viviamo, e guardando continuamente a Gesù, dono che si dona.

GCM 24.04.05