Contemplare: sciogliere tutta
l’esistenza nella presenza di Dio. Non è il vago “sentimento oceanico”
richiamato da Freud. E’ un vivere con il sentimento e oltre il
sentimento, con la mente e oltre la mente, nel tempo e oltre il tempo.
Un tuffo della goccia nell’oceano, del figlio nel Padre.
Contemplare:
uno stato e un’azione personale. Le contemplazioni non si
omogeneizzano. Ciascuno entra nell’atmosfera o nel bagno della
contemplazione per una porta e in un tempo particolari.
Per
qualche persona mille ore di adorazione non aiutano a contemplare,
mentre uno sguardo fugace negli occhi di un bambino è porta immediata a
Dio.
Forse molti hanno dimenticato che la stessa struttura umana
è destinata alla contemplazione. L’attivismo infatti ci stanca, svuota
e disperde.
Se fossimo più obbedienti a noi stessi, favoriremmo di più l’accoglienza del dono della contemplazione.
Perché
la contemplazione sia totale (l’esistenza tutta abbandonata allo stesso
esistere), è necessario scegliere l’oggetto della contemplazione.
L’arte o la natura appagano il sentimento estetico. Il cibo soddisfa la
corporeità.
Solo Dio, essere totale e infinito, è in grado di
assorbire in sé tutto il nostro esistere contemplante. Ogni altra
contemplazione, compresa quella dell’amore, resta incompleta.
Ciascuno
ha un proprio modo di entrare in Dio. Chi riflettendo, chi cogliendo
Dio nella sua Bellezza eterna, chi accorgendosi del suo amore che si
dona, chi sperando in lui oltre ogni speranza. Forse questi e altri
ingressi sono anche nella stessa persona.
GCM 14.7.05