N17 Dolcezza dell’assurdo

La vita si è manifestata.

Tutta la biologia indaga sulla vita, sulle sue manifestazioni (fenomeni), ma non riesce a dirci che cos’è davvero la vita. Si scoprono gli organi vitali, ma cos’è la vita resta un arcano.

Lui era la vita. Così afferma Giovanni. Conoscendo lui,  possiamo finalmente conoscere le vita?

Eppure nemmeno lui può essere conosciuto nella sua dimensione di mistero. Il mistero si infittisce, quando la vita diventa bambino. Questo bambino, nato da quell’assurdo di una vergine che partorisce, questo bambino è la vita? Assurdo per noi.

Anche nel caso di Gesù, della vita riusciamo a scoprire il fenomeno, ma non l’essenza. Quando poi viene riferito che questo bambino è la manifestazione di quella vita infinita che è Dio, la perplessità della ricerca si perde nello sgomento.

È proprio nello sgomento che si radica il nostro modo di credere a Dio. È scritto: credo perché assurdo. Credere è esperienza quotidiana, che ravvisiamo e che non ci turba più di tanto. Ma credere nella bambina manifestazione di Dio, non può lasciarci altro che sgomentati.

Il Natale è lo sfascio della nostra pretesa di credere, magari intuendo. E allora subentra l’abbandono: sono sgomento, e m’abbandono al mistero. Abbandonarsi chiudere gli occhi. E improvvisamente sfolgora una grande luce. Proprio non vedendo si vede.

Si vede in un modo diverso, che è sperimentato proprio se ci si abbandona alla dolcezza consolante della fede in Dio. L’abbandono di fede, è una pregustazione del Paradiso, quando per vedere la luce, non abbisogneremo più dei nostri striminziti ragionamenti, della nostra povere argomentazione intellettiva in “barbara et celarent”.

27.12.12