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Preghiera trasformante

Il nostro Gesù sale sul monte a pregare.

Il monte è il luogo più prossimo al cielo, dove la tradizione biblica immagina si erga il trono di Dio: nell’alto dei cieli.
Il monte quindi, nella mentalità e nel linguaggio biblici, è l’estremo limite della terra, da cui Gesù spiccherà il volo dell’Ascensione. Esso sta alle soglie del cielo.

Gesù, per sottolineare il simbolo unitivo e trascendente della preghiera, sale sul monte per pregare.

La sua e la nostra preghiera, sono al limite, dove avviene il passaggio tra terra e cielo, e dove si è esposti al “sole che sorge dall’alto”. La preghiera è l’apice del nostro vivere, quello che si proietta nell’infinito, al quale la preghiera si rivolge; però non a un infinito irraggiungibile, ma a un infinito che ci raggiunge e ci trasforma.

Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò aspetto. La divinità lo travolse, lo riempì, fino a cambiare le fattezze del suo volto e impregnare di luce i suoi abiti.

La preghiera di Gesù, e la nostra preghiera se è vera preghiera, diventa contemplazione unitiva, quella che ci spinge a sorridere al Dio che ci sta visitando. La preghiera, veicolata dalla fede, è sempre contemplazione, che s’accorge della presenza di Dio e si lascia naufragare in questa presenza.

Preghiera, non formula frettolosa imposta dalle regole, ma abbandono in Dio. Preghiera, con o senza formule, che contempla Dio sempre presente. “Nessuna nazione ha un dio così presente, come l’avete voi ogni volta che l’invocate”: è detto già nell’Antico Testamento.

Ogni preghiera, di Gesù e nostra, è trasfigurazione. La trasfigurazione narrata dai Vangeli, è unica, non per Gesù, ma per l’unica volta che gli Apostoli furono ammessi a presenziare.

GCM 28.02.10 , pubblicato 01.11.10