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Peccato e consolazione

Talvolta ci viene da ringraziare Dio per aver noi peccato. Il peccato, anche uno solo nella vita, rompe la pretesa di essere del tutto a posto, ossia giusti. Il peccato basilare, che genere l’angoscia esistenziale (il salmo: nel peccato mi ha generato mia madre!), sta sempre a ricordare e a sollecitare il nostro sentimento di colpa  e di sconfitta. Dobbiamo riconoscere di non essere giusti e di non unirci al fariseo che prega nel tempio mostrando a Dio i propri meriti.

Eppure ci si può rasserenare, fino a ringraziare Dio per aver peccato. Così abbiamo assicurata l’azione di Gesù. Lui dice: sono venuto non per i giusti, ma per i peccatori.

C’è una giustizia che gli uomini pretendono di aver raggiunto. Essa è la giustizia dei farisei, che vantano continuamente i propri meriti.
Perciò chi coltiva anche solo un minimo di sensibilità cristiana, sente ribrezzo quando ode qualcuno che si esalta, calzolaio, prete o capo del governo che sia. Il vecchio proverbio l’aveva ribadito: chi si loda si imbroda.

Purtroppo la sensibilità cristiana, che avverte una stonatura in chi si loda, è sparita in tutti coloro che approvano chi si loda, il miles gloriosus della commedia latina.

Beati i miti, i peccatori pentiti, gli umili che sanno stimarsi senza imbrodarsi.

Beati non perché sono bravi, ma perché sono l’oggetto delle attenzioni e dell’affetto di Gesù. Chi si loda è confinato in se stesso. Chi si apre a Gesù medico, è sulla traiettoria dell’apertura verso gli altri.

Gesù si interessa di loro, ed essi riconoscono di aver un rapporto con ciò e con chi è al di fuori di lui. Gesù è nostro salvatore perché siamo peccatori, è nostro medico perché siamo deboli.

GCM 20.02.10   - pubbl 07.07.10