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L’abbandono


Gesù, che nella sua vita aveva consolato tutti coloro, che si rivolgevano a lui, cercò egli stesso di essere consolato nel Gethsemani.  Credeva di trovare una risposta almeno dai tre discepoli più intimi. Purtroppo questi erano desiderosi di dormire, e poi si trovavano del tutto impreparati a esercitare il ruolo di consolatori. Pietro era pronto a dare l’entusiasmo, ma non ad accarezzare uno che confidava la propria tristezza. I due fratelli non erano esempio di accoglienza, disposti in quanto “figli del tuono”più a distruggere che a consolare.

La sofferenza di Gesù può essere intuita da chi consolava e aiutava tutti, e, caduto in fase depressiva anche per l’eccessivo lavoro a beneficio delle persone, non ebbe un cane che lo comprendesse, neppure lo psichiatra al quale si era rivolto, e che fu solo capace di stilare una diagnosi e di prescrivere farmaci.

La solitudine è pesante.

Gesù si sentì solo, abbandonato dai suoi, mentre già vedeva vicino il traditore. La solitudine di Gesù fu abissale, infatti chiese perfino al Padre perché lo avesse abbandonato.

Nei momenti di abbandono, è un regalo di Dio, accorgersi che una persona che era stata consolata e aiutata, intuisce la solitudine di chi si sentiva abbandonato, e realizza chiara l’idea, che è giunto il momento di consolare il vecchio consolatore.

Gesù abbandonato era un tema molto sentito dai focolarini. Essi scoprivano Gesù abbandonato nel povero e nel sofferente e supplivano la mancanza dei tre apostoli, con la propria attenzione a quanti, all’interno o all’esterno del loro gruppo, scorgevano abbandonati.

Alle sofferenze fisiche, per Gesù si assommava la sofferenza emotiva dell’abbandono.

GCM 29.08.09