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Divenne carne

“Il Verbo divenne carne, e si attendò in noi”. Il testo greco ci introduce alle porte del mistero. Oltre andremo con la provvidenziale morte, dopo la quale lo vedremo “come è” secondo il pensiero di S. Giovanni.

Non quindi si è fatto carne, ma divenne carne. Si è fatto” è una tentazione di sapere “come”. L’opera di Dio che si presenta agli uomini, si esprime solo con un “che”: è avvenuto così. Dante l’aveva intuito e ci consiglia di fermarci appunto al che (quia).

“Divenne carne”. E’ l’estrema “coincidentia oppositorum” (l’unione degli opposti). L’immenso (così lo intuiamo) diventa creatura carnale. “Carne”, nella Bibbia, è spesso opposta a “Spirito”. Spirito è Dio, carne è l’uomo. La santità l’uno, il peccato l’altra.

Dio ama tanto l’uomo, che lo penetra totalmente; entra nelle entragne dell’uomo, tanto lo ama. Lo ama da Dio. Dopo questa entrata unitiva, di Gesù si può dire tutto ciò che è possibile dire di Dio.
Dio quindi si accampò in noi. I traduttori dal greco, preferiscono “in mezzo a noi”.

Strano, perché qualche verso dopo questo “in noi” è detto “in mezzo a voi”, ma usando non “en” (in), ma “mesos” (in mezzo).

Venne in noi, perché noi, a detta di S. Paolo, siamo tempio di Dio. Se fosse soltanto tra noi, resterebbe ancora staccato dalla nostra vita, e dalla vita di tutta la Chiesa. Gesù resterebbe ospite, anche gradito, ma sempre ospite tra noi.

Gesù non è ospite, egli è “nostra vita”. Se vita, dentro di noi, dentro la Chiesa, che egli santifica. Non indica alla Chiesa un “segno” di vita - come ci è comandato, durante la messa, di darci un semplice “segno di pace”! - ma è la vita, che egli rinfocola in noi, donandoci il suo Spirito: “Ricevete lo Spirito”.

Diventò carne, e diventò noi.

GCM 26.12.07