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Reciprocità con Gesù

All’inizio della conversione di S. Paolo, si attua un passaggio sconvolgente e commovente.

Gesù dice: ”Perché perseguiti me?”. Paolo si e no aveva conosciuto Gesù di persona, anche perché Paolo da Tarso si era trasferito a Gerusalemme, dove teneva la sua scuola sapienziale il rabbì Gamaliele. Gesù invece svolgeva il suo apostolato preferibilmente in Galilea, dopo aver passato qualche tempo con Giovanni Battista lungo il fiume Giordano.

”Mi perseguiti”. Questa frase manifesta un affetto tanto profondo per i suoi da immedesimarsi con loro. Gesù non soltanto soffriva per i suoi, ma soprattutto con i suoi. Gesù viveva il dolore dei suoi. L’ affetto era (ed è) così potente da fondere Gesù con i cristiani.

E ciò si avvera anche oggi. Gesù vive, gode, opera e soffre con noi. Ciò che è nostro è sempre suo. Se questo non ci commuove, è perché gli occhi del nostro sentimento sono oscurati, siamo affetti da quella disgrazia, che Paolo attribuiva agli infedeli: “senza sentimenti!”.

Esiste in noi il reciproco del sentire a Gesù? Lui è noi. Noi siamo lui?

Paolo ci dice che in lui siamo già glorificati, ossia vienti la sua divinità. Riusciamo a vivere ciò che vivevano i santi, quando si fermavano ore intere a piangere nel riandare alla morte di Gesù, a gioire nel Natale, a lodare Dio nel rivivere la sua parola e i suoi “segni”?

Ci sentiamo esaltati, quando lui è esaltato, e oppressi quando lui è vilipeso, bestemmiato, calunniato; ci sentiamo tristi, sofferenti, forse ribelli in quest’ultimo caso?

“Mi perseguiti” ha come reciproco: “Ti viviamo”.

GCM 25.01.11, pubblicato 07.04.11