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Assaporare la morte 1

Per grazia di Dio, Gesù ha assaporato la morte per tutti: lettera agli Ebrei.

Assaporare la morte è una grazia. Se poi pensiamo alla crudeltà della morte di Gesù, crudeltà che facilmente riscontriamo non solo nei lager o nei gulag, ma anche in ogni regime dittatoriale del passato e del presente, questa “grazia di Dio” (charis theou) non collima con le nostre categorie di grazia.

Eppure lo scrittore scopre nella morte di Gesù, una grazia di Dio. Infatti egli vede la morte di Gesù rivolta al beneficio di tutti (uper pantos). Ossia la morte non è vista soltanto nella persona che muore, ma è estesa fuori della persona, considerando il mondo.

E’ soltanto la morte di Gesù rivolta al mondo? Non può essere ogni morte contestualizzata nell’universo umano e cosmico? Potrà la mia morte acquistare valore e benefici per tutti? Oppure la mia morte non uscirà dal ristretto gruppo di chi mi conosce,  e ancor più dal ristrettissimo gruppo di chi mi vuol bene?

Eppure una cosa è certa: noi siamo un tutt’uno con Gesù. Non solamente per usufruire dei suoi benefici, ma anche per collegarci con lui nel beneficare. Stretti a Gesù non solo per il nostro vantaggio, ma per il vantaggio del mondo. Pure Gesù ci aveva avvertiti: siamo luce del mondo, siamo sale della terra. E il Concilio, richiamando le parole della lettera a Diogneto, ci ha ricordato di essere l’anima della società.

Perciò, in Gesù, anche la nostra morte è a beneficio di tutti. Il morire è grazia di Dio, perché il morire non estingue la vita, che si apre nel diventare vita eterna, ma fa terminare nel mondo, attraverso noi, un’occasione di peccato.

GCM 11.04.11, pubblicato 10.07.11