Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, io dimorerò in lui e lui in me.
Noi ogni giorno ci comunichiamo, rinnovando il nostro essere in Gesù, e il suo “inabitare” in noi.
Gesù dimora in noi. Ce ne ricordiamo poco: questa è una delle cause del nostro comportamento invidioso, vendicativo, superficiale.
Gesù è in noi. Sempre. E’ realtà che ci richiama alla realtà. Con Gesù in noi, abbiamo la vita eterna: chi mangia la sua carne e beve il suo sangue ha la vita eterna, e lui lo risusciterà nell’ultimo giorno.
La nostra risurrezione sarà uno scoppio della vita eterna che è già in noi, che mangiamo Gesù. La vita eterna nostra, tolta la catena del corpo, sarà finalmente libera di sprigionarsi. Platone intuisce l’immortalità, come conseguenza della razionalità, e anche della spiritualità della persona umana.
Gesù ci dice che la risurrezione è un dono rinchiuso nel nostro cuore, con la vita eterna già presente e operante. Se la razionalità è radice di immortalità, a un livello più profondo, la vita eterna è radice della risurrezione, che ci spetta ovviamente.
Questo dono è provocato dalla permanenza di Gesù in noi, quella permanenza garantita da Gesù a coloro che accettano la sua parola e il cibarsi della sua persona.
Questa realtà è chiaramente percepita dalla fede. Rispolverare la fede, non serve solo a rettificare e a guarire le nostre idee, ma soprattutto a godere della presenza di Gesù in noi, e nostra in Gesù.
GCM 01.05.09