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Pianto o gioia?

      Alla persona che piange spesso, i tedeschi affibbiano la qualifica di Grabstein, pietra di sepolcro, sulla quale si rovesciano le lacrime di coloro che verranno sulla tomba di chi se n’è andato.

      Leggo nel Vangelo di Giovanni che Gesù nel suo discorso di addio ai discepoli, li esorta a non contristarsi per la sua dipartita. Anzi aggiunge: “Se voi mi amaste, gioireste con me, perché ritorno dal Padre”.

      Gioire per una morte è finemente cristiano, perché il lutto non s’addice a chi gioisce per la risurrezione.

     Evidentemente non mi riferisco alla gioia dei familiari, perché con la morte di uno di loro, la famiglia si è sgravata di un peso, fisico o morale. Anzi ho visto che spesso mostrano di piangere di più, quanto più in cuor loro sono felici di essersi liberati di una noia, o di aver conseguito un’eredità.

      Gioire per la morte, secondo l’esortazione di Gesù, è di timbro ben diverso. “Perché vado dal Padre”. Se volete partecipare alla mia gioia, che nasce dall’abbraccio con il Padre, allora la mia gioia diventa la vostra gioia.

      Si passa dal “povero defunto” (di marca totalmente pagana) al “beato lui” (di forgiatura cristiana, sul modello delle beatitudini).

       Ricordo le vecchie preghiere di impetrazione di una “buona morte”. Prepararci alla morte, non coincideva con la preparazione alla beatitudine, quasi che la scoperta di Gesù Risorto non significasse nulla per il buon cristiano.

       Papa Giovanni in vista della morte citava il salmo “Mi sono rallegrato per quanto mi hanno detto: andremo nella casa del Signore”. Gesù: “Se mi amate, sareste felici per il mio ritorno al Padre!”.

       GCM 14.05.07