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Povertà e ricchezza - 3

Se è vero che il regno di Dio è dei poveri, si comprende bene perché Gesù si trovava bene tra i poveri. I poveri componevano il suo ambiente naturale.

S. Francesco l’aveva compreso, non soltanto andando tra i poveri, ma facendosi povero. Di Gesù Paolo scrive che egli si fece povero per noi.

Ci rode sempre un dubbio: siamo sufficientemente poveri per essere degni di Gesù, e, con Gesù, del Padre?

Quale è il grado della nostra povertà?

Si distingua tra miseria e povertà. E noi ci accontentiamo di essere poveri e di non abbassarci alla miseria dei barboni. Forse ci accontentiamo dell’accademia della povertà, senza addentrarci negli stracci della povertà.

Ma tutto ciò non diventa una sterile autoflagellazione alla Diogene? Un prendere della povertà l’abito esterno, senza penetrare nel cuore della povertà, ossia nel complesso bruciante del desiderio, del vuoto che implora?

Se anche dessi tutto me stesso, e mi buttassi nel fuoco, se non ho la carità, questo non vale nulla. Dice Paolo.

Povertà senza amore non è un valore. Come amore senza povertà non regge. Però il gioco con Dio, e non con la filosofia e con l’ascetica, si conduce soltanto sulla linea dell’amore. Non possiamo misurarci sul termometro della povertà, ma su quello dell’amore.

Per amore Gesù si fece povero. L’amore solo può indicarci la struttura e la qualità della povertà autentica e su misura per il regno dei cieli. Altrimenti, senza amore, la povertà diventa un ideale, un idolo.

Alla fine la domanda più sensata e più cristiana davanti alla povertà è: quanto e come io amo Gesù, che si fece povero?

GCM 15.02.10