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Perdono e gioia

La gioia del perdono. La parabola lucana del figlio dissipatore dei beni e di sé, ci presenta due figli: uno che non s’accorge del bene che gode, e uno che prende coscienza del bene, quando l’ha perduto.

Questa coscienza stimola il ritorno. Il ritorno fa scatenare la gioia, la festa. La gioia del ritorno è tutt’uno con la gioia del perdono (non esplicitato) e della festa (patente).

Doveva forse avvenire il peccato, perché si attuasse la gioia del perdono, e, in questa, la conoscenza del cuore del padre? Che il peccato faccia parte dell’itinerario che ci fa sperimentare Dio? Il peccato nel programma di Dio per la nostra salvezza? Il peccato nel programma divino per attuare l’incarnazione del Verbo?

Agostino, lo sanno tutti, designa il peccato di Adamo quale felix culpa (colpa felice), perché ci ha “meritato” il redentore. Un merito (fatto positivo) insito nel peccato!

Perché il pentimento non sempre produce la gioia? Tutt’al più causa un sollievo.

Il pentimento, sorgente di gioia, deve condurci nelle braccia del Padre. Qualsiasi motivo ci spinga a pentirci, l’esito deve essere l’abbraccio, confidente, abbandonato, al Padre.

Molti pentimenti sono stimolati da un sottofondo di narcisismo. “Sono stato uno stupido”, così si esprime uno. “Ho mancato ai miei propositi” dice l’altro. “Sto male, perché non dovevo”. “Ho interrotto una catena virtuosa” Questi e altri motivi hanno scelto il fulcro dell’io narcisistico. Purtoppo molti pentimenti sono di questo tipo, e non c’è da meravigliarsi degli scrupoli tra le persone pie.

Il pentimento, che causa gioia, nasce dall’accorgerci di esserci allontanati dall’amore del Padre. Il pentimento autentico è un ritorno.

“Ritorna, Israele. Hai inciampato nei tuoi peccati!”.

GCM 14.07.10, pubblicato 10.10.10