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Il Padre è Dio

Mentre leggo un opuscolo che tratta del Padre, mi sovviene che proprio ieri, parlando con un mio confratello, richiamavo come la traduzione dal latino del “Gloria Patri...” sia confusa. Fino a non molto tempo addietro, ci costringevano a recitare “Sia gloria al Padre...”. Poi il verbo è stato soppresso, ma la traduzione è inesatta. In italiano corretto nella traduzione dal latino, anche medievale, il dativo con il verbo essere (sebbene spesso sottinteso) in italiano si traduce con un complemento di possesso.

Perché questa mia saccente osservazione?

Perché nel “gloria al Padre si gioca una verità semplice, eppure essenziale. Il testo è un’affermazione (ha), non un augurio (sia). E’ un riconoscere la gloria, ossia la divinità, poiché il lemma “gloria” italiano risale al latino, che risale al greco, che risale all’ebraico.

Riconoscere la divinità di Dio, non augurare a Dio di essere Dio!

E’ un atto di fede e una lode, un riconoscere affettuosamente ciò che la Trinità è. La stessa fede e la stessa riconoscenza interna al “Gloria a Dio nell’alto dei cieli”.

E, per quanto attiene al Padre, un vivere da figli, nel Figlio, il suo abbraccio di Spirito Santo.

Affermare che la divinità appartiene all’unico Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, oltre a dichiararci per il monoteismo, è anche un nostro orientarci nell’esistenza. E proprio questo orientamento ci stimola a lodarlo, ringraziarlo, adorarlo perché la sua “gloria” è eterna. La lode promana dalla certezza, e la certezza si basa su di lui, Padre che è Dio. Anche la prima parte del “Padre nostro” è riconoscere e affermare Dio e il suo “regno” (nonostante le moleste traduzioni italiane) per poi chiedere il suo aiuto.

GCM 03.02.10