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Rendere grazie

Rendere grazie a Dio. E’ diverso dal ringraziare e dall’ ”agere gratias”.

Il ringraziare nasce da noi e arriva a lui. Siamo noi la fonte del ringraziare. Invece il rendere grazie, è un restituire la grazia, un riconoscere la “sua” grazia, il suo dono.

Paolo: “Che cos’hai che non ti fu donato?”.

Il ringraziare, che ci sgorga dal cuore, è già stato messo nel cuore nostro dallo Spirito Santo. Noi siamo suoi, parte del suo popolo, gregge del suo ovile. Tutto ciò che è nostro è suo.

Gesù: “Padre, ciò che ho, è tuo”.

Rendere grazie non è un nostro regalo, ma è riconoscere il suo dono. Non è tanto riconoscenza, quanto piuttosto riconoscimento. L’intelligenza che prende coscienza che noi siamo di Dio.

La gioia allora si sprigiona più limpida: essere di Dio, del nostro Padre, più che consacrarci al Padre.

Rendere grazie per una pleiade di motivi. Uno però mi piace ricordare: rendere grazie al Padre per averci promesso di peccare!

La parabole dal Figliol prodigo, come si denomina la parabola del Padre amante, generoso totalmente. Egli non si oppone né al dono del patrimonio al figlio, né all’accoglierlo al suo rientro. Il Padre permette al figlio “più adolescente” di peccare. Lo riavrà come oggetto di una nuova qualità di amore: l’amore che festeggia, oltre che perdonare.

Rendere grazie a Dio di non averci impedito di peccare. Quando ne siamo usciti, abbiamo avuto la consolazione di una doppia esperienza: l’esperienza di quanto immenso è il suo commovente amore che perdona e che festeggia il nostro ritorno, e l’esperienza della nostra pochezza, debolezza, stupidità nel peccare, ossia l’acquisto della umiltà senza cercare chissà dove per costatarla. Essa è in noi.                            

GCM 02.07.09