La rigidezza, per molte
persone, rappresenta una scelta salvifica. Temono che rilassarsi -
fisicamente e mentalmente - faccia precipitare. Esse perderebbero un
aggrapparsi psichico, di origine emotiva e intellettiva, che dà loro
l’illusione della stabilità. Però proprio la loro rigidezza provoca
dolorose contrazioni fisiche e psichiche, e un’aridità di sentimenti
che le strania da autentici contatti, con le persone umane e con Dio.
La paura del muoversi può essere ricondotta a forme di depressione.
La
depressione è frutto di abbandonismo. Chi è stato trascurato nei primi
anni di vita, ha appreso ad arrangiarsi da sé: non ha trovato appoggi;
però può aver appreso anche che vivere, reggendosi da solo, è troppo
faticoso e cattivo.
Comunque resta, in lui, un continuo senso di
disistima di se stesso. Non si ama e spesso manca di fiducia nelle
proprie capacità.
L’abbandonismo scivola sempre nella
depressione, più o meno pronunciata, secondo la “quantità” patita di
abbandonismo. Perché i suicidi si lamentano di essere lasciati soli?
Perché si sentono abbandonati.
Tutti noi soffriamo di una sorta
di abbandonismo. Infatti, nessuno di noi, nei momenti di difficoltà,
può affermare di aver avuto una mano vicina. Tutti abbiamo patito
l’abbandono della nascita, quando dal sicuro del ventre materno siamo
stati lanciati nell’esistenza, come spiegano bene Kirkegaard o la
psicanalisi.
Proprio l’abbandonismo, radice dell’angoscia
esistenziale, richiede una mano che ci sostenga, per non cadere nel
nulla dell’insignificanza, della droga, del suicidio.
L’abbandonismo si supera proprio con l’abbandonarsi. Nelle braccia di Dio.
Salmo: padre e madre m’abbandonarono; ma tu, Signore, mi accogli.
GCM 13.01.06